Sulle tracce dei ghiacciai: missione in Alaska di Tommaso Valente e Federico Santini

"Per me che non sono un alpinista ma uno "storyteller" fare questo film ha significato attraversare lo spazio che c'è tra me e il soggetto. Il cambiamento climatico, l'arretramento dei ghiacciai, la natura, la montagna. La sfida era quella di portare lo spettatore con me in questo viaggio, cercando di coinvolgerlo e di stimolare la sua sensibilità attraverso la storia. L'obiettivo è far avvicinare il pubblico al racconto rendendolo partecipe di una storia più grande, che possiamo costruire insieme, riflettendo sui nostri stili di vita".

Con questo incipit di Tommaso Valente, coregista di SULLE TRACCE DEI GHIACCIAI: MISSIONE IN ALASKA, iniziamo la nostra intervista a 4 mani. Rispondono Tommaso Valente e il regista Federico Santini.

-Lo “stato di salute” di alcuni dei più importanti ghiacciai del mondo è un tema "caldo", in tutti i sensi. Cosa si può fare per evitare lo scioglimento e, soprattutto, siamo ancora in tempo per invertire la rotta?
Santini: la temperatura globale media è aumentata di 0,8 gradi centigradi dall'inizio della rivoluzione industriale. Non sembra molto, ma le conseguenze sono enormi. Come testimoniano le foto di Fabiano Ventura le calotte glaciali si stanno riducendo anno dopo anno mentre le situazioni climatiche estreme sono in aumento. I cambiamenti climatici stanno già provocando danni all'ecosistema, ne sono un esempio le foche di Glacier Bay che, a causa del ritiro dei ghiacci, stanno perdendo l'habitat dove svezzano i propri piccoli.
Personalmente penso che non sarà facile invertire la rotta, la società del benessere impone un ritmo esasperato di consumi e questo non può essere sostenibile per la Terra.
Se vogliamo veramente invertire la rotta dobbiamo rendere le persone partecipi di un grosso cambiamento, nella consapevolezza che questo problema colpisce l'intero pianeta e mette a repentaglio la vita delle persone di tutti i Paesi in tutti i continenti.
Valente: è sicuramente una domanda complicata che divide anche la comunità scientifica. Quello che è certo è che dobbiamo radicalmente cambiare le nostre abitudini di vita per diminuire lo sfruttamento delle risorse del pianeta. Non si può sapere se si è superato il punto di non ritorno, quel che è certo è che la velocità del mutamento delle condizioni climatiche è senza precedenti.

- Questo documentario è il terzo di una serie sui ghiacciai, quanto tempo avete impiegato per realizzarlo?
Santini: sulle Tracce dei Ghiacciai è un progetto fotografico-scientifico che si sviluppa in 6 spedizioni sui ghiacciai più importanti della Terra.
Missione in Alaska racconta la terza spedizione, dove il fotografo Fabiano Ventura, alla ricerca dei punti da dove gli antichi esploratori avevano scattato le loro foto, ha trovato un ambiente completamente mutato e attraverso la tecnica del confronto fotografico ha reso evidente l'impressionante ritiro dei ghiacci.
Per realizzare il documentario abbiamo impiegato poco più di un anno. Le riprese della spedizione sono durate 5 settimane, dopodiché abbiamo seguito il processo di post-produzione delle foto fino alla mostra. Dopo qualche mese di attesa abbiamo iniziato il montaggio che è terminato nei primi giorni del 2015.

-Avete avuto particolari difficoltà? Quali i ricordi più belli?
Santini: in un ambiente come la foresta pluviale le difficoltà sono numerose, la prima sicuramente è quella di muoversi dentro un'intricata vegetazione senza nessuna rete di sentieri se non quelli degli animali. L'orientamento a vista non è affatto facile e strumenti come il gps non sempre funzionano.
Durante le salite spesso eravamo avvolti da nuvole di insetti fastidiosissimi che cessavano solo con l'alzarsi del vento. A quel punto ti rendevi conto in che posto stupendo ti trovavi.
Il momento più bello sicuramente  è stato l'incontro con una femmina di grizzly e i suoi tre cuccioli, fortunatamente eravamo al sicuro e ci siamo potuti godere lo spettacolo da pochi metri.

-Quanti documentari avete girato nella vostra vita? Cosa pensate del lavoro e del ruolo del documentarista in Italia?
Santini: faccio documentari dal 2007 e mi è capitato di girarne diversi anche come operatore o come montatore. Il documentarista deve saper osservare la realtà e scegliere le storie che per lui valgono la pena di essere raccontate, questo secondo me è il suo ruolo. Purtroppo nel nostro Paese non sempre è facile trovare i fondi necessari per sviluppare un idea. Nonostante ciò vedo crescere sempre di più il livello anche grazie a Festival come il vostro che permettono di vedere documentari internazionali di buon livello, che troppo spesso non trovano spazio in televisione.
Valente: ho fatto 4 documentari lunghi e un po' di corti come regista e molti di più come montatore, aiuto regista o direttore di produzione. Penso che il lavoro del documentarista in Italia oggi sia molto duro e faticoso perché il suo ruolo è quello di colmare gli spazi che ci sono tra le persone, tra lo spettatore e il soggetto del film ma anche proprio fisicamente i buchi culturali che la società moderna sta creando. E l'Italia, negli ultimi anni soprattutto, ne ha generati davvero tanti.

- Un giudizio su Sondrio Festival?
Santini: non sono mai stato, ma è sicuramente un riferimento per il documentario naturalistico. 
Valente: è la prima volta che ci vengo ma dal programma mi sembra che sia molto ben fatto e che gli argomenti siano ben valorizzati.

- Siete mai stati in Valtellina? Se sì cosa ne pensate? Abbiamo delle stupende "alte vie"....
Santini: Adoro la Valtellina e le vostre alte vie.... Ho girato un documentario sulle Orobie e adoro anche la ValMasino a Val di Mello!!
Valente: Solo una volta. Approfitterò della vostra ospitalità per visitarla un po' e conoscerla meglio.

- Quali sono i vostri progetti per il futuro? Qualche nuovo soggetto da scoprire e divulgare?
Santini: ho appena finito di montare un documentario che ho girato in Pakistan lo scorso inverno. Si tratta di un tentativo di scalata invernale al Nanga Parbat, ma durante la spedizione molte cose cambieranno e il protagonista si troverà a fare i conti da solo con questa difficile montagna.
Valente: insieme abbiamo 2 nuovi progetti. Uno che affronta la tematica dell'Amianto attraverso il rapporto tra un figlio e la storia del padre morto avvelenato dal continuo contatto con questo minerale per motivi di lavoro. Un film sulla riconciliazione generazionale e allo stesso tempo su come si può affrontare una tragedia come questa con la giusta ironia e cercando di tirarne fuori il meglio. Il secondo riguarda una storia profondamente contemporanea. Una storia internazionale che racconta la sostenibilità, la generazione dei ventenni che si affaccia ad essere parte attiva della società, la possibilità di essere utili all'umanità e allo stesso tempo profondamente calati nella contemporaneità del mondo occidentale. La protagonista è Mona Mijthab, una designer tedesca che è convinta che il design sia un modo per dialogare col futuro, per migliorare la vita degli uomini e per rendere il mondo un posto migliore. È per questo che ha messo su un team di giovanissimi (tra i 25 e i 30) a Zurigo che sta lavorando ad un ciclo sanitario a secco che potrebbe risolvere i problemi di molte aree che hanno scarsa accessibilità all'acqua per usi igienici. Il film è ambientato tra il Kenya e la Svizzera.

 

Camilla Martina