"Lettera dalla Sardegna", il nuovo lavoro di Valter Torri, come "Il pastore e la montagna" dell'anno passato, si colloca a cavallo tra esterno e introspezione, in uno scambio costante tra natura e uomo. "In questo caso la storia parla di un difficile rapporto tra padre e figlio, rapporto minato dalla gelosia provata dal figlio nei confronti di una terra per la quale il padre ha sempre nutrito uno straordinario attaccamento - spiega il regista- Il padre, dal canto suo, è sempre stato pervaso da un innato desiderio di libertà, al punto di preferire vivere di espedienti pur di essere il più possibile immerso nei grandi spazi della natura e poterne assaporare le intense emozioni che è in grado di fargli provare". Raggiunta la maturità della propria vita, il figlio decide finalmente che è arrivato il momento di vedere quella terra "nemica" e scrive al padre. "In sostanza - prosegue torri- si tratta di una storia che vuol far riflettere su un valore primario che rischiamo di perdere di vista perché accecati dalla forsennata ricerca del benessere economico: il piacere di ritrovare il senso della libertà nel sentirci parte integrante del mondo naturale, senza il quale, nonostante denaro e progresso tecnologico, la nostra vita non sarebbe possibile". Si ritrova quindi un must di Torri "Ogni essere umano dovrebbe avere la possibilità, di tanto in tanto, di sedersi su una roccia, solo, e di guardare il mondo naturale davanti a sé, assaporando il piacere di esistere". La storia ha una valenza universale, potrebbe essere traslata in qualsiasi luogo del pianeta in cui viva l'uomo civilizzato, ma il regista ha scelto le zone meno conosciute della Sardegna perché, grazie alla loro straordinaria bellezza selvaggia, è più facile rappresentare l'attaccamento del padre alla natura dei propri luoghi di origine. Le difficoltà incontrate sono le solite che si debbono affrontare quando si cerca di documentare il comportamento degli animali selvatici, in questo caso estremizzate dalla particolare impervietà del territorio. Ma, può sembrare strano, ciò che gli ha reso la vita più difficile sono state le riprese che riguardavano il treno a vapore. "Anche se avevamo il convoglio a disposizione, la ricerca dell'inquadratura in un territorio aspro, quale è il percorso della linea ferrata- conclude- ha richiesto un impegno notevole, e ha comportato il rischio di cadere sui binari dalla sommità di una gola o precipitare in uno degli orridi attraversati da ponti vertiginosi". In compenso, il ritrovarsi a respirare le nebbie del monte Genis e seguire il galoppo dei branchi di cavalli selvaggi nella Giara di Gesturi, per fare solo due esempi, sono emozioni che rimarranno per sempre scolpite nella sua mente.