La montagna alpina vissuta in punta di piedi, come solo i veri rispettosi appassionati sanno fare, emerge dal racconto, di immagini e suoni, di Marco Andreini e Paolo Fioratti. Quella di girare un documentario sulla vita in alta montagna era un’idea che Fioratti aveva in mente da anni. Il titolo provvisorio era “Specialisti d’alta quota”, perché si volevano mettere in evidenza gli adattamenti estremi che gli organismi affrontano per avere successo in un mondo così particolare. “Un mondo che a noi può sembrare invivibile – spiega Andreini - ma che, evidentemente, per gli animali e le piante che lo popolano non è migliorabile”. Da qui il titolo definitivo “Il migliore dei mondi possibili”. Un lavoro lungo, denso di difficoltà, ma anche di momenti irripetibili. “Cinque anni fra riprese e montaggio non sono pochi, anche per un documentario naturalistico. Ci siamo concentrati sulla Valle d’Aosta, presa come esempio dell’ambiente alpino, perché entrambi avevamo dimestichezza con l’area. Ma fin dall’inizio abbiamo condiviso la volontà di fare un ritratto di questo ambiente e delle specie che lo popolano che fosse il più possibile vicino all’esperienza di chi frequenta le montagne in punta di piedi. Non volevamo ricreare situazioni o forzare i comportamenti degli animali attirandoli artificialmente. Quello che si vede nel documentario, è ciò che la montagna ci ha offerto in questi anni. Per farlo abbiamo dovuto portare un’attrezzatura professionale di ripresa in tutte le stagioni e con qualsiasi condizione climatica. Un’impresa che, all’inizio, avevo sottovalutato, ma che pian piano ha dato forma a un risultato che credo, per il momento, unico”. È il primo documentario che i due registi creano insieme. “Fioratti, con molta più esperienza e fama di me come fotografo, aveva già girato un film sul Martin Pescatore, vincitore di un importantissimo festival a Pechino. Io mi rifacevo con l’esperienza da “film-maker”: con questo sono al mio diciottesimo lavoro, qualcuno commissionato o acquistato dalla RAI, altri girati per istituzioni o Enti Parco, compreso naturalmente “La pietra che vive”, che qui a Sondrio ha vinto il premio speciale “Regione Lombardia” nel 2007”. Proprio in quell’anno Andreini ha avuto modo di apprezzare il Festival che conosceva per fama. “Sono rimasto colpito dall’atmosfera accogliente e familiare che non ti aspetti in un Festival così importante e così orientato a una partecipazione internazionale. Non lo dico perché me lo chiedete voi, ma l’incontro avuto con i ragazzi delle scuole nella proiezione del mattino è stato uno dei momenti più belli di tutta la mia carriera di documentarista. Ero tesissimo per il tipo di accoglienza che avremmo avuto (io e il film) ma quando, dopo un’ora di domande di fila dei ragazzi interessatissimi ed entusiasti, qualcuno ha deciso che era abbastanza, avrei continuato all’infinito”. Molti invidiano la natura e le "alte vie" provinciali, chiediamo al regista se condivide questo pensiero. “Sto per rivelare un segreto: diverse scene del documentario, in realtà, sono state girate in Valtellina. Lo sono tutta la sequenza delle civette nane e molte delle riprese delle pernici bianche. D’altronde si tratta di un documentario sulla vita nelle Alpi, e quando e se n’è presentata l’occasione ho approfittato delle fantastiche possibilità che questo settore delle Alpi offre”. Per il futuro i due professionisti hanno progetti e soggetti molto ambiziosi che stanno prendendo forma. “Io personalmente continuo con l’attrazione che le montagne, nel loro aspetto più selvaggio, hanno su di me. Questo richiamo, che mi accomuna a tutti gli appassionati puri di natura, trae molta forza dalla presenza di animali rari e misteriosi, quali l’orso o il lupo, come avviene ad esempio nelle montagne che mi sono geograficamente più vicine, in Abruzzo. Un fotografo, il mio amico Bruno D’Amicis, la natura d’Abruzzo, il lupo, sono al centro del lavoro che sto portando avanti, ma visto che si tratta dell’animale forse più difficile da riprendere in Italia, temo che cinque anni saranno il minimo sindacale”.